LA PREPARAZIONE PSICOLOGICA DEL CALCIATORE

Dalla rivista "NOTIZIARIO del SETTORE TECNICO"

N° 2 Marzo/Aprile

di Aldo Ammazzalorso *

 

PREMESSA

Motivazione, visualizzazione, feedback, sono i termini che fino a qualche anno fa non erano utilizzati dai tecnici di calcio, ma che nel corso degli ultimi anni sono diventati parte integrante del bagaglio tecnico di ogni allenatore di calcio.

In questa tesi cercheremo di spiegare come, quando e perché l'allenatore dovrà inserire nel proprio programma di allenamento non solo esercizi tecnici, atletici e tattici, ma anche l'allenamento mentale, per riuscire a tirare fuori dai propri atleti tutto il loro potenziale.

Prenderemo in esame le più conosciute tecniche di rilassamento e le modalità migliori per motivare i propri giocatori.

Cercheremo anche di spiegare come far fronte ai sempre più numerosi fattori di stress, per far sì che i nostri atleti possano vivere la loro vita sportiva, non considerandola alla stregua di un lavoro, ma per quello che realmente è: un gioco.

 

 

LA MOTIVAZIONE

Non esistono persone pigre, non motivate, esistono solo persone che hanno obiettivi deboli che non suscitano emozioni forti. La motivazione è senz'altro uno degli elementi più importanti quando si va a preparare un piano di allenamento, per qualunque livello di prestazione.

Ma cosa significa realmente motivazione?

Addentrandoci nel fenomeno legato alla motivazione ci troviamo in uno spazio molto complesso, spesso è difficile capirne l'incidenza sul comportamento di un individuo.

Una forte motivazione è strettamente correlata ad una forte monoidea, che si traduce in una grande volontà nella ricerca del raggiungimento di un obiettivo che possa appagare dei nostri bisogni.

Vari autori hanno espresso alcune ipotesi.

Secondo Salvini per motivazione si indica in psicologia "l'agente fisiologico, emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo."

Per Bertolini la motivazione è " ciò che sollecita l'individuo ad assumere ogni suo atteggiamento ed a mettere in atto ogni suo comportamento."

Secondo Singer la motivazione "influisce su ciò che facciamo, (quando vi è la possibilità di scelta) su quanto tempo ci mettiamo e su come lo facciamo."

Thomas riporta le motivazioni a quattro desideri fondamentali:

  1. il desiderio di sicurezza;

  2. il desiderio di ottenere il riconoscimento delle proprie qualità;

  3. il desiderio di ricevere risposte adeguate da parte dei propri simili;

  4. il desiderio di nuove esperienze.

La gerarchia dei bisogni di Maslow riporta le motivazioni a bisogni fondamentali distinguendoli in:

 

L'AUTOMOTIVAZIONE

In allenamento parecchi atleti fanno buoni risultati. Ma quando sono in gara accade che questi registrino un brusco calo di rendimento e non riescano a dare il meglio di sè incolpando la dieta, o il metodo di preparazione, o l'eccesso di caldo o di freddo, oppure dicono "mi ha messo in ginocchio la solita crisi".

Spesso, invece, non si tratta di niente di tutto questo, bensì del fatto che questi atleti hanno lavorato con regolarità ed impegno sul piano fisico, ma hanno del tutto trascurato di addestrare la mente a vincere, sottovalutando il ruolo fondamentale della psiche.

Da qualche tempo, invece, è ormai chiaro che nello sport ogni traguardo, qualunque vittoria è frutto di due fattori: energia fisica e potenza mentale. Come dire: accanto al training muscolare occorre esercitare anche la mente al successo.

Da dove cominciare? Una strada vincente può essere quella della automotivazione: un distillato di pensiero orientale e occidentale che, aumentano la fiducia e la stima in sé stessi, rimuove blocchi psicologici e cicatrici mentali, spesso le autentiche cause di tante prestazioni di modesto livello.

L'automotivazione serve a tutti, però uno dei settori dove l'automotivazione sta fornendo ottimi risultati è proprio quello dello sport e del calcio in particolare: quando abbiamo una partita da disputare, sia essa la finale dei campionati del mondo o un incontro di terza categoria non bisogna avere la sola preoccupazione di allenare per ore ed ore solo il fisico. Se si ha davvero il desiderio di raggiungere importanti traguardi, è necessario non trascurare lo sviluppo della psiche, esercizio questo attraverso cui si possono scoprire insospettate energie per credere nelle proprie capacità.

Le mete ambiziose richiedono una crescita dentro, non solo nelle masse muscolari o nell'efficienza respiratoria. Quando le risorse interiori si mescolano magicamente agli stimoli esterni, l'atleta ingrana una marcia in più e gli diventa più facile raggiungere nuovi record personali, obiettivi fino ad allora ritenuti impossibili.

 

Prima regola: pensate positivo

Ma in cosa consiste, in pratica, l'automotivazione? Il metodo è un mosaico di esercizi e tecniche basato sulla visualizzazione, in altre parole, sul potere delle immagini mentali evocate dall'inconscio, in grado di mettere in luce le forze psicologiche nascoste e, per questa via, restituire entusiasmo e fiducia, rimuovere le influenze negative, tirare fuori il meglio da ciascuno. Lo sforzo più grande consiste nel far pratica ed esperienza di nuovi modi di pensare, grazie ai quali è possibile cambiare in positivo l'immagine del proprio io. Per prima cosa bisogna imparare a neutralizzare i pensieri negativi. Un pensiero negativo è come una fattura di magia nera: fa perdere forza, energia, vitalità. Un calciatore che scende in campo con in testa il dubbio di non avere i numeri per vincere, ha già perso in partenza. Per vincere la partita è necessario provare a pensare in positivo: ossia, vedersi vincitori.

Poiché ci vuole un chiaro disegno mentale della partita prima di poterla vivere con successo, il trucco consiste nell'esercitarsi a riceverla più e più volte con l'immaginazione. A ricrearla nei più minuti dettagli in quel laboratorio che è la mente, fino a conoscere perfettamente come comportarsi quando si sarà impegnati sul campo.

Il nostro atleta nella settimana precedente la gara dovrà provare per dieci minuti al giorno a ripetere mentalmente le azioni che dovrà svolgere sul campo. Si "vedrà" nella sua posizione in campo, "sentirà" il contatto con la palla nel momento di calciare, "avvertirà" il momento di scattare. Perché funziona? Il fatto è che cervello, sistema nervoso e massa muscolare funzionano come un servo meccanismo cioè nella stessa maniera di una macchina automatica volta ad un fine. Date al cervello uno scopo ed il resto verrà da sé. Quando la mente "vede" con chiarezza ciò che si vuole fare, comincerà a funzionare eseguendo il lavoro molto meglio di quanto non ci sia modo di ottenere per mezzo dei soli mezzi fisici. Il fatto che l'automotivazione sia un metodo che funziona, non è pura teoria. Un esperimento, ad esempio, è stato condotto allo scopo di verificare l'efficacia dell'esercizio mentale nel raggiungere una maggiore abilità nella pallacanestro senza effettuare tiri reali. Per un mese, tre squadre di basket furono guidate in modo diverso. Una continuò ad allenarsi come sempre; la seconda smise del tutto il training, mentre la terza sostituì l'allenamento sul campo con il training mentale, immaginando di tirare a canestro e di correggere la mira secondo gli errori commessi.

Alla fine del mese, le performance sportive della prima squadra non avevano subito flessioni, mentre la seconda aveva conseguito risultati assai più modesti rispetto a quando si allenava di solito.

 

Un'azione pensata è come se fosse realizzata. Il cervello non riesce a stabilire la differenza tra un'esperienza reale e una immaginata con grande intensità e nei minimi particolari. Ad ogni modo non devono esserci dei malintesi: la visualizzazione non sostituisce l'allenamento. È un utile integrazione nei giorni precedenti la gara e un sostituto temporaneo dell'allenamento nel caso di malattia, infortunio o lunghi trasferimenti.

Ma l'automotivazione ha bisogno di altro ancora. Così sempre attraverso la visualizzazione, ossia le immagini mentali, prevede esercizi di rilassamento e di respirazione. Questi ultimi servono a caricare di energia i muscoli più impegnati nello sforzo durante la gara, mentre il relax fisico aiuta ad "incassare" con più disinvoltura i colpi emotivi.

Parecchi atleti pensano che rilassarsi sia negativo perché temono di non avere più la grinta necessaria per affrontare la gara. È sbagliato: un animale, prima dell'attacco è rilassato, un atleta teso e nervoso pompa adrenalina in ogni direzione con grande dispendio di energie. Al contrario, chi è rilassato e disteso pompa adrenalina dove serve, e riesce a concentrare l'energia solo nei muscoli sotto pressione.

 

LA GESTIONE DELL'ENERGIA FISICA E MENTALE

Una delle questioni più rilevanti in psicologia dello sport è la gestione dell'arousal dell'atleta.

Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l'intensità dell'attivazione fisiologica e comportamentale dell'organismo: quando l'organismo deve effettare una prestazione deve attivarsi, cioè mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di arousal, essi sono:

  1. aumento della vigilanza e dell'attenzione (attivazione del sistema nervoso centrale);

  2. i muscoli si preparano allo sforzo (attivazione del sistema muscolo - scheletrico);

  3. cuore e polmoni si attivano per sopportare lo sforzo (sistema vegetativo simpatico).

L'energia psichica è l'attivazione della mente e sta alla base della motivazione; quando è associata ad emozioni come eccitazione e felicità è positiva, quando è associata ad emozioni come ansia e rabbia è negativa.

Lo stato di stress si verifica quando gli atleti intuiscono che c'è uno squilibrio tra quello che è chiesto loro di fare (sfida) e quello che invece essi sentono di essere capaci di fare (livello di abilità).

Anche l'allenatore è sottoposto a stress ed essere iper o ipo-attivato come i suoi atleti; si renderà quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione del coach per permettergli una direzione accurata ed equilibrata durante la gara.

Lo stato di flow è il livello ottimale dell'energia psichica associato ad un adeguato livello di stress (il cosiddetto eustress o stress positivo); il flow è caratterizzato da un arousal (attivazione) funzionale al raggiungimento dell'obbiettivo sportivo.

Nello stato di flow l'attenzione è orientata sul compito, l'atleta non è disturbato dai propri pensieri poiché è completamente assorbito dalla sua attività, e, infine, l'atleta sente di controllare le proprie azioni.

Nel calcio, sport in cui le circostanze evolvono in maniera imprevedibile, vi è l'esigenza di variare il grado di arousal conformemente ai mutamenti situazionali.

 

Un BASSO LIVELLO di AROUSAL è necessario:

prima di praticare una tecnica di visualizzazione (il giorno prima della partita e nello spogliatoio mezz'ora prima del fischio dell'arbitro); quando risulta fondamentale un'ampia analisi percettiva per decidere e reagire in modo rapido (quando si osservano gli spostamenti degli avversari, vale a dire nella maggior parte del tempo dei novanta minuti); quando si deve eseguire un gesto tecnico accurato (ad esempio prima di un calcio piazzato o durante la messa a punto di una strategia di gara).

 

Un MODERATO LIVELLO di AROUSAL è necessario:

quando il calciatore si prepara ad un calcio di rigore (compito di elevato impegno, alto dispendio energetico, coordinazione, fine dei movimenti e strategie complesse di percezione e di decisione, uno stato di eccitazione eccessivo comprometterebbe la performance); nella durata del tempo della partita le migliori prestazioni si hanno con un moderato livello di ansia.

 

Un ALTO LIVELLO di AROUSAL:

può anche essere tollerato nelle attività più semplici e di minore precisione motoria (come nel passaggio da una metà campo ad un'altra durante un'azione di contropiede avversario); può essere trasformato a proprio vantaggio da percezioni negative di ansia e di rabbia ed eccitazione positiva e piacevole.

I segnali tipici di una IPER-ATTIVAZIONE sono:

-   ansietà;

-   tensione e rigidità muscolare;

-   aumento della frequenza cardiaca, respiro irregolare, innalzamento della pressione arteriosa;

-   affaticamento precoce;

-   scarso controllo delle proprie reazioni emotive (scatti di rabbia);

-   difficoltà di concentrazione e attenzione;

-   attenzione spostata sui fattori distraenti esterni (ambiente) o interni (idee negative).

In questi casi è possibile ricorrere ad alcune strategie per abbassare il proprio livello di attivazione:

I segnali che caratterizzano una IPO-ATTIVAZIONE sono:

-   sensazione di mancanza di energia (l'atleta si sente spento, fiacco);

-   scarsa concentrazione (distrazione, attimi di confusione psicologica, indecisione);

-   troppa riduzione della tensione e dell'ansia (mancanza di stimoli);

-   disinteresse e demotivazione;

-   noia e pigrizia;

-   scarsa valutazione del tempo e incapacità di anticipazione (l'atleta non si inserisce nell'azione, non scatta, non effettua una marcatura soddisfacente);

-   sensazione psichica di impotenza (è inutile tentare, tanto non ce la faccio).

 

È possibile in questi casi adottare strategie che aumentano il proprio livello di attivazione come:

 

LO STRESS FISICO E LA SUA GESTIONE

La natura ha predisposto nell'uomo un complesso ed efficiente sistema automatico di difesa, capace di entrare in funzione allorché avverte una minaccia improvvisa.

Una volta percepito il pericolo, il cervello trasmette un segnale all'ipotalamo, sede delle reazioni emotive ed ormonali. Le ghiandole surrenali a loro volta così avvisate liberano una trentina di potenti ormoni (adrenalina, cortisone, ecc.) che scuotono, in pochi secondi, l'intero corpo preparandolo così nel migliore dei modi a rispondere all'attacco attraverso: la fuga o la difesa.

La stessa ansia è una delle manifestazioni di questo stato d'emergenza e pericolo.

Molti sono i mutamenti biochimici e i sintomi neurovegetativi scatenati da questo stato stressante: la tachicardia, l'ipertensione, il sudore, il pallore e l'affanno, a causa della superattività delle ghiandole surrenali.

I disordini psicoemotivi si possono tramutare in sintomi comportamentali, quali fobie, ipocondria, ossessioni.

L'uomo primitivo reagiva con lo stress di fronte a una bestia feroce, oggi l'uomo moderno reagisce nel medesimo modo a causa di un probabile licenziamento, oppure per un divorzio imminente, ecc. .

Comunque solo l'iperstress è dannoso all'organismo, a dosi moderate è una valenza positiva e favorevole perché potenzia la vis medicatrix naturae.

"Un po' di stress non fa male anzi provoca nel nostro organismo reazioni benefiche in determinate circostanze" (prof. G. Ballarini Università di Parma, ottobre 1985).

Essere sotto stress è generalmente inteso come subire un'aggressione oltre misura e quindi trovarsi almeno in una situazione di disagio. Il termine stress è caricato, nel linguaggio comune, solo ed esclusivamente dei suoi effetti negativi.

Un certo grado di stress è invece un fenomeno positivo, almeno in determinate condizioni, e può presentare aspetti vantaggiosi.

Per stress si intende qualsiasi evento fisico o psicologico che modifica l'equilibrio organico.

Lo stress è anche la risposta dell'individuo a qualsiasi novità, alla quale si deve adattare.

Le cause di stress sono denominate stressor e sono le più varie: nel nostro campo un cattivo andamento dei risultati, un cattivo rapporto con l'ambiente (società, allenatore, compagni, tifosi), mancato ambientamento nella città, eccessive aspettative, e così via.

Di fronte ad una amplissima varietà di stressor, l'organismo risponde in modo abbastanza uniforme, secondo schemi che sono governati dagli ormoni ed dal sistema nervoso, e quindi abbastanza ben prestabiliti. Vi sono ovviamente diversità di razza, di specie e individui.

La risposta è di solito caratterizzata da una preparazione dell'organismo, da una specie di carica, che serve ad affrontare l'emergenza, piccola o grande che sia. Per questo, soprattutto nell'uomo, un normale stato di stress è favorevole, dato che il nostro comportamento viene ad avere la sua massima efficacia e porta alle maggiori soddisfazioni nell'affrontare problemi e situazioni nuove.

Senza le novità e senza la conseguente carica, gli uomini sarebbero apatici e senza stimolo a progredire. Hans Selye, il padre delle ricerche sullo stress ed il primo ad usare questo termine negli anni trenta, disse che lo stress è il sale della vita. Nelle discipline a prevalente determinazione tattica, gli atleti devono mettere in atto più abilità nello stesso istante. Ne possono derivare affaticamento mentale, causa, se intenso e prolungato, di stress, non dipendente dalla qualità degli stimoli, bensì dall'intensità del bisogno di adattamento che essi attivano. Lo stress si correla con caratteristiche individuali dell'atleta: un'elevata ansia di tratto competitiva, unita a bassa autostima e scarsa motivazione intrinseca possono avere risvolti negativi. Lo stress troppo intenso e prolungato provoca burnout, causa di danni psicofisici e comportamentali. L'interesse dei più recenti studi di psicologia si è spostato dallo studio della prestazione, della personalità all'applicazione di tecniche mirate al miglioramento della prestazione sportiva.

Nello sport lo stress è dipendente dalla percezione che l'atleta ha della situazione, della gara, dipende dal modo in cui l'atleta vive questa situazione.

Non sarà dunque la partita a provocare lo stress, ma la percezione che l'atleta ha della partita. Dalla percezione della partita possiamo avere differenti reazioni, la stessa partita può suscitare in alcuni giocatori sensazioni di stress, in altri di eccitazione.

Partendo da questo presupposto, vedremo:

-   cosa può generare una sensazione di stress in un atleta;

-   come l'atleta può far fronte a queste situazioni di disagio.

Sono numerose le situazioni che possono generare stress in un atleta e possono rendere negativa la loro prestazione.:

 

Fattori di stress

 

Individuali

-   livello tecnico: implica differenti gradi di responsabilità e quindi di richieste ambientali;

-   ruolo: ruolo in campo (attaccante - difensore), giocatore di ruolo (turnover, panchina) ruolo del gruppo-squadra (es. leader, capitano);

-   supporto sociale: da parte della famiglia e dello staff;

-   evento importante;

-   scarso utilizzo da parte dell'allenatore;

-   eccessiva pressione dei media;

-   noia, troppi tempi morti durante i ritiri, ecc.

-   pubblico ostile e/o invadente

-   infortuni

 

Di squadra

Programmazione di obiettivi a breve (affrontare una partita alla volta), medio (aggiudicarsi il girone di andata) e a lungo termine (vincere il campionato). La prestazione aumenta quando gli obiettivi sono moderatamente difficili per tre motivi:

  1. Rapporto tra abilità ed obiettivo; quando un atleta valuta di non essere sufficientemente capace di raggiungerlo, difficilmente sarà motivato a impegnarsi in una attività frustante (presentarsi ad una partita senza alcuni giocatori importanti).

  2. Relazione tra difficoltà dell'obbiettivo e la fiducia in sé stesso:la fiducia in sé stesso influenza direttamente la percezione della difficoltà del compito e la successiva prestazione.

  3. Obiettivi troppo facili e poco incentivanti: giocare contro una squadra nettamente inferiore.  

-   Avversario: la prestazione dipende dai compagni di squadra e dagli avversari.

-   Clima organizzativo della società: comunicazione ed organizzazione tra i membri dello staff e tra questi e la dirigenza.

-   Pressioni esterne: da parte degli sponsor, dei mass-media, della società e dei tifosi.

Fattori derivanti dall'allenamento:

-   logistica: tipo di terreno, luci, materiale;

-   condizioni climatiche: pioggia, neve, ecc.

-   carichi di lavoro: es. allenamento aerobico e anaerobico.

Fattori derivanti dalla partita:

-    partita importante: finale, lotta per la salvezza, qualificazioni, sono partite in cui è necessario, ottenere un ottimale livello di ansia. In queste occasioni difficilmente si riesce a controllare la paura;

-   trasferimenti e trasferte: es. clima, tifosi.

Tali fattori di stress possono dare origine, nell'atleta ad una serie di sintomi psicofisici, a loro volta destinati a causare scarso rendimento;

 

I segni dello stress:

-   Irritabilità generica, iper eccitazione o depressione;

-   secchezza della bocca e della gola;

-   comportamento impulsivo, instabilità emotiva;

-   incapacità di concentrazione;

-   predominio del senso di stanchezza;

-   ansietà fluttuante: sensazione di paura senza sapere esattamente di che

-   insonnia, derivante dalla difficoltà di conciliare il sonno;

-   mancanza o eccesso di appetito;

-   riso nervoso o senza motivo;

-   arrotondamento dei denti.

 

IL TRAINING AUTOGENO (TA)

Il training autogeno si basa principalmente sull'allenamento graduale della distensione e sulla deconcentrazione progressiva muscolare.

Assai efficace come tecnica anti stress il TA, fatto regolarmente e seriamente, permette di ridurre la tensione, di risparmiare e di recuperare le energie migliorando così l'efficienza fisica e mentale.

Descrizione della tecnica

Condizioni preliminari: ambiente più possibile tranquillo, luce bassa, temperatura equilibrata, abbigliamento comodo.

La metodica del dott. Scultz è stata divisa da numerosi autori in tre fasi:

Fase iniziale

  1. disponibilità al rilassamento

  2. verifica della pesantezza e del calore 

Fase intermedia

  1. verifica della regolazione cardiaca

  2. verifica della regolazione respiratoria

  3. verifica della regolazione viscerale

  4. formulazione di fresco alla fronte.

Fase terminale

  1. ripresa neuromuscolare

  2. ripresa neurosensoriale

Esaminiamo brevemente gli esercizi:

Pesantezza: formula "il mio braccio destro è pesante" estendere la stessa sensazione anche all'altro braccio fino ad arrivare alla formula " il mio corpo è pesante".

Calore: formula il mio braccio destro è caldo (rip. 5-6 volte) estendere la sensazione via via a tutto il corpo.

Cuore: formula "il mio cuore batte calmo e regolare" (rip. 5-6 volte).

Respiro: formula "il mio respiro è calmo e regolare" (rip. 5-6 volte).

Plesso solare: formula "il mio plesso solare è piacevolmente calmo" (rip. 5-6 volte).

Fronte fresca: formula "la mia fronte è piacevolmente fresca" (rip. 5-6 volte).

In seguito ad un costante allenamento di almeno 2-3 mesi la realizzazione delle singole fasi del training autogeno avverrà quasi spontaneamente e basterà ripetersi sinteticamente le varie formule per arrivare ad uno stato di completo rilassamento.

Alcuni mezzi possono essere utili all'atleta per fronteggiare situazioni stressanti; l'atleta deve prepararsi psicologicamente a ciò che lo aspetta, per poter gestire meglio l'evento stressante; per prepararsi potrà visualizzare più volte una situazione stressante, per poterla gestire in maniera più efficace. Rispondere alle domande dei giornalisti potrà diventare più semplice se si prepara un comportamento da tenere davanti alla stampa: come per esempio parlare lentamente o sorridere.

Credere in se stessi è essenziale per poter reagire ad una situazione stressante.

Aver fiducia nelle proprie qualità, essere coscienti di essere allenati in maniera ottimale, essere consapevoli delle proprie capacità, tutto ciò porterà l'atleta a dare il meglio di sé in una prova.

Gli atleti, specialmente i calciatori, sono notevolmente influenzati da una continua situazione di stress causata dalla notevole pressione ed influenza dei mass media e dei tifosi, dalla presenza di continui conflitti, poiché il numero di giocatori in rosa è molto ampio, e qualcuno è costretto ad andare anche in tribuna; dal fatto che ogni partita è un esame. In questa ottica diventano più comprensibili tutti i tentativi volti a ridurre le tensioni ( ritiri, silenzi stampa) a ridurre lo stress attraverso una riduzione degli stimoli. Non sempre questi tentativi approdano a buoni risultati; notevole importanza assume in questo contesto il tipo di conduzione scelto dall'allenatore del gruppo: esistono due tipi di conduzione egualmente positive, la conduzione semplificatrice e quella responsabilizzante, esaminandole:

nel calcio di oggi ad un allenatore è richiesta la gestione di una situazione particolarmente complessa, contraddistinta da notevole stress. Consapevole di queste difficoltà, quasi sempre l'allenatore prende, più o meno consciamente, una decisione: semplificare quanto più possibile la situazione attraverso una gestione estremamente funzionale e cercando di eliminare  (vedi i ritiri) tutto ciò che può complicarla. Quando più un allenatore si trova ad affrontare una situazione caratterizzata da notevole stress, tanto più produttiva sembra essere una conduzione tesa a semplificare la situazione, a ridurre l'influenza di stimoli stressanti.

Questi stimoli stressanti possono essere di due tipi: esterni ed interni; condizionamenti esterni possono essere ad esempio quelli causati dalla stampa e dai loro giudizi sui giocatori, che nella maggior parte dei casi sono differenti dal giudizio dell'allenatore. L'allenatore in questo caso non dovrà essere toccato da questi condizionamenti e dovrà proporsi nei confronti della squadra come una difesa nei confronti dell'esterno.

Per quanto riguarda la diminuzione delle tensioni interne e il tentativo di evitare l'insorgere di nuove tensioni , particolarmente utili possono risultare le proposte responsabilizzanti.

Poiché una situazione di tensione tende a provocare nei giocatori insicurezza è inoltre importante che l'allenatore non contribuisca, con il proprio comportamento, ad accentuare il clima di difficoltà. Riuscire a far sentire tutti i giocatori (titolari e riserve) come parte integrante della squadra e a far sentire ad ogni giocatore la propria fiducia in loro, sarà uno degli obiettivi dell'allenatore.

Un training di preparazione mentale, mirato allo sviluppo delle capacità necessarie per il controllo e l'ottimizzazione della prestazione, può essere composto dai seguenti elementi:

Screening psicodiagnostico: mirato alla valutazione delle caratteristiche psicologiche generali e delle capacità cognitive del giocatore.

Pensiero positivo del goal setting: acquisizione della capacità di utilizzare pensieri positivi e della programmazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine con lo scopo di incrementare nel calciatore la motivazione intrinseca al successo.

Concentrazione: modulazione dello stile attentivo al fine di dirigere e mantenere l'attenzione sugli elementi critici del gioco, escludendo gli stimoli esterni o interni che possono fungere da distrattori.

Rilassamento: vedi T.A.

Visualizzazione: rappresentazione immaginativa di situazioni tipiche delle fasi di gioco.Simulazione mediante immagini mentali.

Self-talk: dialogo interno mediante parole stimolo, mirate a favorire nel giocatore l'ottimizzazione della modalità di affrontare specifiche situazioni ed eventuali problemi. L'obiettivo consiste nel focalizzare l'attenzione su aspetti chiave del compito ed evocare volontariamente stati psicologici positivi e produttivi, comportando una percezione di autocontrollo positiva.

Valutazione: accertamento dei risultati raggiunti e della validità del programma realizzato.

 

CONCLUSIONI

Nel corso degli anni il ruolo dell'allenatore è profondamente mutato e la gestione di una squadra di calcio è diventata una questione estremamente complessa e articolata.

Non si tratta, infatti, di preparare semplicemente gli atleti esclusivamente da un punto di vista tecnico e tattico, ma di intervenire su fattori motivazionali e fornire strumenti per aiutarli a fronteggiare le situazioni di stress che si possono presentare nel corso della loro carriera agonistica.

Non vogliamo con questo trasformare l'allenatore in psicologo, ma riteniamo necessario unire a una conoscenza tecnica del calcio una sensibilizzazione alle problematiche presentate in questo lavoro.

Pertanto, come già esposto in precedenza l'allenatore potrà aiutare l'atleta nelle situazioni di stress, senza per questo doverle risolvere al posto suo, in modo da formare giocatori che siano in grado di risolvere situazioni complesse in maniera indipendente.

 

 

 

 

 

* Tesi di fine studio del Corso Master 2001/02 per l'abilitazione ad allenatore professionista di 1a Categoria

 

 

 

Redatto il 07/08/2003  

Pubblicato il 08/08/2003  

Ultimo aggiornamento il 24/08/2003